venerdì 21 dicembre 2012

Ricamo (per Doug e per i Maya)

Scusate, ma è un racconto di una bellezza struggente e non avrò mai più l'occasione di pubblicarlo sostenendo che è "a proposito".
E' per Doug che sicuramente lo conosce ma spero apprezzerà rileggerlo, e per tutte voi. Anche se è triste, è talmente bello.


 Ricamo
L'aria del portico scuro nel pomeriggio inoltrato era piena di bagliori di aghi, simili al movimento di un nugolo di insetti argentei nella luce. La bocca delle tre donne era serrata sopra il lavoro. I corpi si spingevano all'indietro e poi si chinavano in avanti, impercettibilmente, tanto che le sedie a dondolo si muovevano e mormoravano. 
Ogni donna si guardava le mani, come se all'improvviso vi avesse trovato il proprio cuore che batteva là.«Che ore sono?»«Le cinque meno dieci.»«Fra un minuto devo alzarmi per sgusciare i piselli per la cena.»«Ma...» disse una di loro.«Ah, sì, l'avevo dimenticato. Che sciocca...»
 La prima donna s'interruppe, posò l'ago e il ricamo e guardò attraverso il portico, verso il caldo in-terno della casa tranquilla, verso la cucina silenziosa. Là, sul tavolo, simbolo di vita domestica più di qualunque altra cosa lei avesse mai visto invita sua, c'era il monte di piselli appena colti, chiusi nelle lucide bucce ela-stiche, in attesa che le sue dita li portassero al mondo.
«Va' a sgusciarli, se ti fa sentire meglio» disse la seconda donna.
«No» rispose la prima. «Non lo farò. Non lo farò, e basta.»
La terza donna sospirò. Ricamò una rosa, una foglia, una margherita su  un campo verde. L'ago da ricamo si alzò e scomparve.La seconda donna lavorava al ricamo più bello, più delicato di tutti; infilava e ritirava abilmente l'ago veloce attraverso interminabili viaggi. Il suo attento sguardo scuro seguiva ogni movimento. Un fiore, un uomo, una strada, un sole, una casa; la scena cresceva sotto la sua mano, una bellezzain miniatura, perfetta in ogni particolare.«In momenti come questo» disse la donna, e le altre annuirono, tanto dafar dondolare di nuovo le poltrone «sembra di avere solo le mani.»«Secondo me» aggiunse la prima «le nostre anime sono nelle nostre ma-ni. Perché noi facciamo
qualunque cosa
al mondo, con le mani. A volte,però, penso che non usiamo le mani al pieno delle loro capacità. Certo non usiamo la testa.»
Tutte e tre scrutarono più attentamente quello che le loro mani facevano.«Sì» disse la terza donna «quando si guarda indietro a un'intera vita, non si ricordano tanto le facce, quanto le mani e quello che facevano.»
Si raccontarono i coperchi che avevano alzato, le porte che avevano aperto e chiuso, i fiori che avevano raccolto, le cene che avevano preparato,tutto con dita lente o veloci, com'era loro abitudine e uso. Guardando indietro, si vedeva uno sfarfallio di mani, come il sogno di un prestigiatore, porte che si spalancavano, rubinetti che si aprivano, scope che si muovevano, bambini che venivano sculacciati.
Lo sfarfallio di mani rosee era l'unico suono; il resto era un sogno senza voci.
«Niente cena da preparare per stasera, né per domani, né per dopodomani» disse la terza signora.
«Niente finestre da aprire o da chiudere.»«Niente carbone da spalare dentro la caldaia, l'inverno prossimo.»«Niente giornali dai quali ritagliare le ricette.»E all'improvviso stavano piangendo.
 Le lacrime rotolavano dolcemente giù per le loro facce e cadevano sul tessuto sul quale si muovevano le loro mani.
«Così non serve a niente» disse finalmente la prima signora, portandosi il pollice prima sotto un occhio, poi sotto l'altro. Si guardò il pollice e vide che era bagnato.

«Guardate cos'ho combinato!» gridò la seconda signora, esasperata. Lealtre si fermarono e si sporsero a guardare. La seconda signora alzò il ri-camo. La scena era perfetta in tutto, tranne che mentre il giallo sole rica-mato brillava sul verde prato ricamato, e la strada marrone ricamata curva-va verso una casa rosa ricamata, l'uomo sulla strada aveva qualcosa di sbagliato nella faccia.«Praticamente, devo scucire tutto il disegno, per sistemarla» disse la se-conda signora.«Che peccato.» Fissarono tutte, con intensità, la bella scena con il difetto.La seconda signora cominciò a tagliare il filo con le agili forbicine che scintillavano. Il disegno venne via filo dopo filo.
La donna tirava e strappava, quasi con cattiveria. La faccia dell'uomo era scomparsa, ora. La donna continuò a tirare il filo.
«Che stai facendo?» chiesero le altre donne.Si chinarono e videro che cosa faceva.L'uomo scomparve dalla strada. La donna l'aveva tolto completamente.Non dissero niente e tornarono al loro lavoro.
«Che ore sono?» chiese una.«Le cinque meno cinque.»«È alle cinque che dovrebbe accadere?»«Sì.»«E non sono sicuri di quello che farà alle cose, quando accadrà?»«No, non ne sono sicuri.»«Perché non li abbiamo fermati prima che si arrivasse così avanti, prima che ingrandisse tanto?»«Già, è grande due volte quello che è mai stato. No, dieci volte, forse mille.»
«Questa non è come la prima o come la decima volta. Questa è diversa.Nessuno sa che cosa potrebbe fare, quando arriva.»
Aspettarono sotto il portico, fra l'odore di rose ed erba tagliata. «Che ore sono?»«Le cinque meno uno.»Gli aghi riflettevano lampi di fuoco argentato.
Saettavano come un minuscolo branco di pesci metallici nell'aria estiva che si andava oscurando.Lontano, un suono di zanzara. Poi qualcosa come un tremore di tamburi.Le tre donne chinarono la testa, in ascolto.
«Non sentiremo niente, vero?»

«Dicono di no.»«Forse siamo stupide. Forse, dopo le cinque, continueremo a sgusciare piselli, ad aprire porte, a mescolare minestre, a lavare piatti, a preparare pranzi, a pelare arance...»«Santo cielo, come rideremo al pensiero di esserci spaventate per un vecchio esperimento!»Si scambiarono un breve sorriso.«Sono le cinque.»A queste parole, sussurrate, si immersero nel lavoro. 
Le loro dita saettarono. Le facce erano chine sui movimenti delle dita. Seguirono frenetica-mente il disegno. Ricamarono lillà, erba, alberi, case e fiumi sul tessuto.Non dissero niente, ma si sentivano i loro respiri nella silenziosa aria del portico.
Passarono trenta secondi.Alla fine, la seconda donna sospirò e cominciò a rilassarsi.«Penso che dopo tutto andrò a sgusciare i piselli per la cena» disse.«Ho...»Ma non ebbe tempo neppure di alzare la testa. Da qualche parte, ai margini del suo campo visivo, vide il mondo illuminarsi e prendere fuoco.Tenne la testa bassa, perché sapeva che cos'era. Non alzò lo sguardo, così come non lo alzarono le altre, e nell'ultimo istante le loro dita volarono.Non guardarono attorno per vedere che cosa stava accadendo al paese, alla città, a quella casa o perfino a quel portico. Fissavano solo il disegno sotto le loro mani in movimento.La seconda donna guardò un fiore ricamato scomparire.
Tentò di rimetterlo al suo posto ricamando, ma se ne andò e poi scomparvero la casa, e i fili d'erba. La donna guardò un incendio, quasi al rallentatore, appiccicarsi alla casa ricamata e distruggerla, e strappare ogni foglia ricamata dall'alberello verde, e vide lo stesso sole strappato dal disegno.
Poi l'incendio prese la punta in movimento dell'ago mentre ancora balenava. La donna guardò il fuoco salire lungo le sue dita, lungo le braccia e il corpo, srotolando il filo del suo essere così dolorosamente che lei poté vederlo in tutta la sua maligna bellezza, mentre strappava il disegno dal tessuto che aveva in mano.
Che cosa stava facendo alle altre donne, o al mobilio, o all'olmo nel cortile,non lo seppe mai. Perché ora, sì, ora!, piluccava il ricamo bianco della sua carne, e alla fine trovò il suo cuore, una morbida rosa rossa cucita col fuoco, e ne bruciò i freschi petali ricamati, un delicato petalo alla volta...



Ray Bradbury, in Le auree mele del sole (The Golden Apples of the Sun, 1953)

2 commenti:

sfollicolatamente ha detto...

Meraviglioso, grazie Seavessi!

Doug Spaulding ha detto...

No, Seavessi, non lo conoscevo!
Non ho mai letto l'antologia Le auree mele del sole (quante cose meravigliose ho ancora da leggere! non è splendida la vita?) quindi è stato un regalo fantastico!
Grazie! Grazie! Grazie!

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